La residenza universitaria Casa Monteripido compie 50 anni. La ricchezza che il tempo degli studi trascorso qui ha rappresentato per molti ha suggerito l’opportunità di sottolineare questa ricorrenza. Pertanto, in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Accademico, celebrata l’8 novembre scorso, abbiamo avuto il piacere di avere tra noi anche alcuni persone che hanno fatto la storia di questo luogo, direttori, ex studenti e dipendenti. Senza memoria non c’è futuro. Senza gratitudine per chi ci ha preceduto mancano le motivazioni per l’oggi e ogni sforzo rimane sterile.

Per tale circostanza è stata tenuta una lectio magistralis dal prof. Borghesi, docente di Filosofia Morale presso il Dipartimento di Filosofia, Scienze sociali umane e delle Formazione dell’Università degli Studi di Perugia, nonché padre di una nostra ex studentessa. La prolusione, talmente tanto ricca che merita di essere riportata in questo articolo quantomeno nei passaggi più salienti, aveva come titolo “Per un Dio non violento. Papa Francesco e l’orizzonte storico-politico-religioso contemporaneo”.

L’associazione tra religione e violenza, che caratterizza il nostro tempo, rappresenta una connessione singolare – spiega il professore – sia dalla prospettiva religiosa che da quella culturale. Il post-modernismo, per il quale verità e violenza si identificano, era sembrato vincitore. La religione non poteva essere violenta. Per l’ideologia della globalizzazione, la secolarizzazione delle ideologie e delle religioni, dopo l’89, era irreversibile. Ma quello che è accaduto l’11 settembre del 2001 sconfessa questa prospettiva. Non solo la religione torna sulla scena moderna, ma si presenta in modo violento. Ne consegue che la politica rinasce in forma religiosa, manichea, come lo stesso Borghesi illustra in Critica della Teologia politica.

È in questo sfondo che comprendiamo il significato del Pontificato di Francesco e della sua visione di Dio, come emerge nell’intervista rilasciata a Tornielli e pubblicata con il titolo Il nome di Dio è misericordia. Oggi il nome di Dio, nello scenario mondiale, non è misericordia. È guerra, conflitto. Il Dio dell’Isis taglia le teste. Il dio dell’occidente, dal 2001, è un dio di potenza, di reazione. Rimane solo il cristianesimo, solo la Chiesa, solo il Papa a professare la fede nel Dio di misericordia. Non solo questo Papa, ma anche i precedenti: Giovanni Paolo II scrisse l’enciclica Dives in Misericordia e istituì la festa della Divina Misericordia. Benedetto XVI, poi, diede inizio al suo magistero con la Deus caritas est. Affermare oggi che Il nome di Dio è misericordia è rivelare il nome di Dio oltre l’islamismo radicale, per una riscoperta del Dio misericordioso presente nel Corano, e anche oltre il nichilismo occidentale, chiuso nella ribellione. “Resterà solo la carità” affermò profeticamente Romano Guardini

[1]. La nostra epoca, afferma papa Francesco, è un kairos di misericordia, perché questa è un’umanità ferita, che non significa necessariamente corrotta. La corruzione è il peccato elevato a sistema, a modello. Corrotti sono coloro che conducono una doppia vita, quelle persone che Gesù accusa di ipocrisia e che papa Francesco rimprovera aspramente [2]. Il peccato non è la corruzione, ma la condizione normale dell’uomo. Al peccatore si volge la misericordia, perché Gesù viene per i malati, ma anche perché la misericordia consente al peccatore di sentirsi tale. Riconoscersi peccatori non è affatto immediato, è una Grazia. Nell’intervista rilasciata a Spadaro – imprescindibile per comprendere papa Francesco – alla domanda Chi è lei?, Bergoglio risponde “Io sono uno che è un peccatore e a cui Dio ha guardato con misericordia”. Una risposta sconcertante, che evoca lo stupore dell’evangelista Matteo, così come rappresentato dal Caravaggio nella tela di S. Luigi dei Francesi, mentre si scopre peccatore proprio perché guardato con misericordia. La coscienza del peccato è dolore verso qualcuno che si ama. È tristezza. Tristezza, magari, di non sentirsi peccatore. Qui l’operaio dell’ultima ora riceve la stessa mercede dell’operaio della prima ora. La misericordia vìola la giustizia. Non la sopprime, ma impedisce alla giustizia di chiudersi nel fariseismo. La misericordia fa saltare la burocrazia ecclesiastica, quella che oggi accusa di buonismo papa Francesco, mossa dalla stessa coscienza del figlio maggiore della parabola di Lc 15. Il figlio maggiore è davvero giusto, mentre quello minore è nel torto. Però è tornato dal Padre. Questo, è solo questo che conta per essere abbracciati. Il figlio maggiore segue la legge, ma si autoesclude dall’abbraccio del Padre. È risentito e non sa essere felice per la felicità del fratello. La misericordia è l’opportunità di un nuovo inizio e la Chiesa, per papa Francesco, non può che essere un “ospedale da campo”.

Come è possibile oggi dimostrare che Dio non è violento? Solo mediante gli effetti, ciò che Lui produce. Se l’effetto è una vita buona, non violenta, la causa lo deve essere parimenti. Questo effetto, però, non è dottrina. È gesto, è vita. Come tale può essere solo narrato. La narrazione degli effetti è la risposta al Dio violento, all’ideologia di potenza, alla morale del risentimento. Ciò significa che oggi, nel tempo del nichilismo e del fondamentalismo religioso, la testimonianza (di chi è Dio) è l’essenziale. La testimonianza è misericordia della miseria del mondo, dei miseri e dei miserabili. La misericordia introduce un nuovo volto di Dio e, con questo, una tensione con la giustizia del mondo, che è il vero elemento nuovo della storia. Anche di quella presente.

[1] «Se comprendiamo esattamente i testi escatologici della Sacra Scrittura, la fiducia ed il coraggio formeranno il carattere proprio della fine dei tempi. L’ambiente della cultura cristiana, l’appoggio della tradizione perderanno vigore. Questo sarà uno degli elementi di quello scandalo, del quale è detto che «se fosse possibile, anche gli eletti vi soccomberebbero» (Mt. 24, 24). La solitudine nella fede sarà tremenda. L’amore scomparirà dalla condotta generale (Mt. 24, 12). Non sarà più compreso, e diverrà tanto più prezioso, nel suo passare da un solitario ad un altro solitario: forza del cuore che discende immediatamente dall’amore di Dio, quale si è rivelato in Cristo. Forse si farà una esperienza tutta nuova in questa carità: della sua sovrana originalità, della sua indipendenza dal mondo, del mistero del suo supremo perché. Forse la carità acquisterà una profondità d’intimità mai prima esistita» in Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, Morcelliana, Brescia, 1984, tr. it. di Marisetta Paronetto Valier, 108.

[2] Cf. Papa Francesco, Meditazione mattutina dell’11 novembre 2013, Peccatori sì corrotti no.

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